Gestione della conoscenza: lo strumento per la crescita ai tempi dello smart working

«Se la nostra azienda considera centrali le relazioni sociali tra le persone, non dovrebbe avere degli strumenti social al proprio interno per supportare queste relazioni?»

Ricordo ancora quella conversazione. Era gennaio di tanti anni fa. Gocce di pioggia rigavano il vetro della grande finestra. Chi parlava era il vice presidente per lo sviluppo tecnico e del business. L’azienda era una multinazionale con 8000 dipendenti.

Mi piaceva parlare con lui, ogni volta che uscivo dal suo ufficio avevo nuovi spunti di riflessione e nuove idee da mettere in campo. Guardava avanti: la sua testa era ben concentrata sui problemi contingenti, economici, di mercato, tecnici, ma il suo pensiero cercava di disegnare il futuro in modo che fosse favorevole allo sviluppo e alla crescita.

Quando uscii dal suo ufficio sapevo che stava per succedere qualcosa di importante. Ci eravamo lasciati con l’impegno che sarei tornato da lui entro un paio di settimane con un’idea per connettere persone lontane, non solo geograficamente.

Ripenso spesso a quel periodo. Ritrovo i principi che ispirarono la creazione del nostro Enterprise Social Network nelle questioni che riguardano il cosiddetto “smart-working”. Le difficoltà che le persone con cui parlo mi descrivono sono quasi sempre riconducibili a quella che possiamo definire «gestione della conoscenza» in tutte le forme utili per lavorare, che sono essenzialmente riconducibili a tre:

  • organizzativa,
  • sociale e creativa,
  • formativa e informativa.

Supportare la conoscenza organizzativa

Sulla scrivania c’era un computer e un libriccino. Era il mio primo giorno di lavoro lì e prima di allora avevo già cambiato lavoro tre volte. Non era affatto scontato che il primo giorno in un nuovo posto qualcuno sapesse che dovevi arrivare. Ancor meno lo era che ci fosse una scrivania e un computer. Quindi il libriccino attirò ancora di più la mia curiosità e mi mise a mio agio: «Benvenuto in Golder».

Una quindicina di pagine in tutto di benvenuto e per dare qualche indicazione sulla cultura dell’azienda e su come muovere i primi passi nelle sue procedure.

Negli anni successivi ripensai spesso a quel libretto quando qualche dubbio mi attanagliava. Il «benvenuto in Golder» non ne parlava: cosa dovevo fare per avere i rimborsi spese, per organizzare una trasferta in Australia, per scrivere un’offerta o una relazione che seguisse le linee guida del brand aziendale?

Se mai avessi fatto uno strumento di condivisione della conoscenza avrei inserito una sezione di «Benvenuto in azienda» che avrebbe dovuto coprire anche le varie procedure aziendali necessarie per tutto il processo lavorativo, non solo per i sopravvivere ai primi giorni, le istruzioni e le best practices che potevano supportare in tutti gli aspetti della vita lavorativa.

Uno dei principali problemi di chi arriva in una nuova azienda, o di chi deve affrontare un nuovo compito è quello di reperire le informazioni, “dove le trovo? a chi chiedo?”. E se è un problema quando si lavora in un un ufficio, da remoto è molto più difficile.

Spesso si pensa che la questione sia di carattere tecnico, ma se ci si concentra solo sugli aspetti tecnici i risultati non sono per niente ottimali. Perché anche se la soluzione tecnica è buona, le persone non sono pronte e allenate. Pensiamo ad esempio alle riunioni online o ai project manager che devono coordinare efficacemente le attività solo attraverso lo schermo di un computer o, peggio, di un cellulare.

Da una parte e dall’altra dello schermo non ci sono linee guida che spieghino cosa e come fare.

I team di lavoro dovrebbero imparare a condividerle al proprio interno le informazioni in modo da diffondere velocemente le best practices e aiutare  chi ha maggiori difficoltà a superare le incertezze.

Se siamo fisicamente in ufficio possiamo chiedere a un collega, ma se stiamo lavorando da remoto dove possiamo trovare le risposte?

Sostenere la conoscenza sociale e creativa

“Ci siamo accorti che le idee migliori sono nate qui, alla macchinetta del caffè.” Il CEO stava parlando -giustamente- con un malcelato orgoglio mentre mi mostrava la zona ristoro illuminata da una grande finestra che dava sul giardino antistante e arredata con dei divanetti color verde-pera, tavolini bianchi e moderne sedie di un rilassante color salmone. Si sentiva un leggero aroma di caffè nell’aria. Un vociare sommesso, ma non caotico, dava la sensazione di vitalità.

Alcune persone stavano discutendo in piedi vicino al grande bancone su un lato della stanza dove si trovava la macchina del caffè. Credo parlassero di calcio, ovviamente. Poco più in là, dall’altra parte dell’open space, tre o quattro erano seduti a un tavolino con i propri computer. Sebbene rilassati sembravano più in riunione che in pausa. Alcuni grafici che uno di loro stava tracciando sul muro, che fungeva da enorme lavagna bianca, confermarono i miei sospetti.

La funzione sociale/creativo-ricreativo della macchinetta del caffè è nota a tutti. Ci scherziamo su spesso. La macchinetta del caffè è il totem attorno a cui si riunisce la tribù per condividere le proprie storie, personali o lavorative che siano. A questo angolo dell’ufficio è demandata la funzione di raccogliere e connettere idee che possono diventare qualcosa di più grande tornando alle nostre scrivanie.

Lavorando in smart-working la funzione di questo sacro luogo viene meno e vengono a mancare così le occasioni di socialità e di condivisione che contribuiscono a formare il nostro modo di pensare e di leggere il mondo nella prospettiva aziendale. 

Le aziende dovrebbero avere il coraggio di riconoscere formalmente alla macchinetta del caffè il ruolo che ha e istituzionalizzarlo sia fisicamente che virtualmente per capitalizzare la ricchezza che emerge intorno a quel totem.

Consolidare la dimensione formativa e informativa

Mi piace molto l’espressione «Costruire ponti e abbattere i muri». Sia come approccio filosofico che lavorativo. Purtroppo nell’attività che svolgo nelle aziende, mi ritrovo troppo spesso a dover abbattere le barriere dei silos che la cultura di molte aziende tende a costruire. Ispirare l’approccio alla costruzione di ponti è difficile: come si fa a instillare il dubbio che promuovere la collaborazione e la condivisione porta a risultati migliori della competizione tra team e dipartimenti?

Per fortuna questo non è stato un problema in Golder al punto che il payoff del progetto era «un ponte tra generazioni, oltre i confini». L’obiettivo alla base era duplice: raccogliere l’esperienza dei più anziani ed esperti per metterla a disposizione di tutti e intercettare le novità che i giovani freschi di studi potevano portare per aggiornare chi era più maturo.

Geograficamente invece il progetto aveva l’obiettivo di far circolare le idee e la conoscenza sviluppate nei vari uffici sparsi per il mondo.

Il contatto con gli altri ci consente di trovare le informazioni e l’esperienza che ci sono necessari a svolgere il lavoro in maniera utile ed efficiente più spesso di quanto non pensiamo.

Troppo spesso riteniamo, sbagliando, che il nostro bagaglio di sapere ci basti per portare a termine i compiti che ci sono dati. In realtà, se ci mettiamo nella giusta prospettiva, ci rendiamo conto che ciò dipende dalla interazione con gli altri molto più di quanto pensiamo, e, se non la alimentiamo, progressivamente si la nostra capacità di fare si riduca con essa.

Come può quindi una buona leadership sostenere la cultura dello smart working?

Innanzitutto bisogna capire quale tipo di conoscenza serva alle persone per il proprio lavoro. Quali relazioni, conoscenze, informazioni e dati sono necessari? È probabile che questa esplorazione metta anche in luce dei bisogni formativi che vale la pena di tenere nella dovuta considerazione.

La reazione a questo primo quadro sulle necessità dovrebbe condurci a indagare dove si trova questo sapere in azienda. È conservato in qualche sistema aziendale o nelle teste delle persone? È presente in azienda o deve essere cercato altrove? È possibile fare in modo che sia «consumabile» a distanza?

Se non debitamente indirizzato questo bisogno di sapere porta le persone, non solo quelle che lavorano a distanza, a cercare le risposte in fonti non ufficiali (leggi Google o peggio).

Bisogna quindi stimolare la ricerca nei luoghi corretti (che offrono le informazioni verificate). Il rischio è che si introducano errori che possono rovinare il lavoro fatto e che le informazioni si diffondano poi come veritiere (al pari di una fake news).

Fornire fonti verificate ha anche un grande vantaggio: ridurne il numero. Infatti quando sono troppe, come accade con internet, si rischia di esserne sopraffatti (sovraccarico informativo), con la conseguenza di generare ulteriori incertezze, dubbi e inutile ansia.

Più difficile, infine, è stimolare le persone a condividere la conoscenza prodotta in tutte le sue forme utili al lavoro (dati, informazioni di lavoro, esperienza e formazione). Obiettivo che richiede un approccio sistemico, per stimolare la giusta cultura e la fiducia reciproca. Per raggiungerlo c’è bisogno di una pianificazione e di strumenti pensati appositamente non solo in base alle necessità, ma anche in base al modo di lavorare e di gestire le relazioni interne ed esterne dell’azienda.

Conclusione

In una celebre campagna pubblicitaria della Pirelli degli anni novanta il celebre velocista Carl Lewis ai blocchi di partenza indossava, al posto delle scarpe da corsa, un paio di scarpe rosse con tacco 12. Lo slogan diceva «la potenza è nulla senza controllo».

Potremmo parafrasare lo stesso slogan dicendo che «la strategia è nulla senza la comunicazione».

E mantenendo l’allegoria potremmo dire che collaborare a distanza è un po’ come essere sulla neve: il controllo è ancora più importante. Ora più che mai la capacità di comunicare fa la differenza tra il lavorare e il lavorare bene.

Gli strumenti di videoconferenza sono essenziali per mantenere i contatti, ma attenzione che «mantenere i contatti» non è «comunicare» e che comunicare non passa solo attraverso gli strumenti di videoconferenza.

Comunicare è un modo di far fluire conoscenza da un individuo ad un altro, richiede la capacità di ascolto, di scegliere il tempo e il luogo corretti, di definire il contenuto del messaggio e il modo di formularlo.

Gestire la conoscenza è un particolare processo di comunicazione che richiede una pianificazione strategica. Deve essere definito a priori e pianificato. Se non lo avete fatto prima, questo è il momento di cominciare a farlo e noi di Gioda Consulting possiamo aiutarvi.

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