Parliamo di sostenibilità in riferimento a imprese, progetti, economia, e poi leggiamo di finanza sostenibile, principi ESG, tassonomia europea, ma a cosa ci riferiamo?
Partiamo dal dire cosa NON è la sostenibilità, per poi avvicinarci a capire cosa è.
“Sostenibilità” NON è sinonimo di charity, la vecchia e lodevole prassi di molti imprenditori del primo ‘900 di utilizzare parte degli utili della propria attività per ripagare la comunità in cui operavano della ricchezza prodotta. Una sorta di restituzione di quanto ricevuto dalla Provvidenza, tipica della mentalità protestante e sviluppatasi nei paesi anglosassoni.
E, benché si faccia ancora confusione, la sostenibilità NON si può nemmeno circoscrivere al concetto pur ampio di csr, corporate social responsibility. Con questa si riconosce alle aziende una vera e propria responsabilità attiva come protagonisti dello sviluppo delle società in cui sono inserite.
Invece, per cogliere il vero senso della sostenibilità, dobbiamo rifarci alla sua traduzione in francese, e non in inglese: durabilité, vale a dire “durevolezza”.
Mi piace affermare che è sostenibile ciò che è durevole: quindi per sostenibilità possiamo intendere la capacità di produrre un valore durevole nel tempo per soddisfare i bisogni di oggi e garantire anche quelli futuri. E ciò per un’impresa così come per una qualsiasi altra aggregazione umana, dal punto di vista ambientale, sociale, economico e di gestione, dunque in maniera integrale.